MODERNITA’ DI BONAVENTURA
Ogni volta che Bonaventura annuncia
la sua riapparizione, una domanda si ripresenta regolarmente: il nuovo
Bonaventura sarà “attualizzato”? E la risposta è regolarmente
la stessa: BONAVENTURA E’ SEMPRE STATO ATTUALE, lungo tutti i decenni che
ha attraversato senza scomporsi. Ma naturalmente il suo sguardo sull’attualità
che lo circondava è sempre stato, come quello del suo autore, sornione,
distaccato, molto molto ironico e inconfondibilmente antiretorico.
Fin da una delle primissime tavole del
CORRIERE DEI PICCOLI, ancor prima degli anni ’20, Bonaventura è
stato protagonista di “una film” (negli anni ’50 si contenterà più
modestamente del ruolo di comparsa) e da lì in poi ha avuto regolarmente
a che fare con aeroplani, corse automobilistiche, marchingegni elettrici,
e via via fino alle astronavi e agli extraterrestri – cogliendo anche al
volo, quà e là durante il percorso, mode passeggere come
la “motoruota” e il “pallon-bebé”. Fra i suoi mille mestieri si
contano anche il palombaro, il fotografo, il motorista, il commerciante,
il benzinaio, l’aeronauta, il giocatore in borsa e così via. E non
si è rifiutato nemmeno di incontrare, con tocco leggero, la guerra,
le macerie e la vita da sinistrato. Ed è così che Bonaventura
è potuto diventare, senza alcuna contraddizione col suo passato,
un testimonial della Campagna Euro di un grande quotidiano economico, il
Sole 24 ORE, ricevendo per l’occasione alla fine delle sue fortunate sventure,
con un taglio creato appositamente per lui, un Milione tutto in Euro.
Ma non correte subito alla conclusione:
allora Bonaventura è “attuale”! Si e no. Né “attuale” né
“retrò”. Come ha detto Antonio Faeti, “Bonaventura è un ossimoro
vivente”. Imprendibile e atemporale, Bonaventura si diverte a mescolare
le carte, produce strani giochi di prospettiva, fa convivere re da operetta
e aerei, Cenerentola e automobili – abituando così i bambini a navigare
liberamente nel tempo ed a sentire il presente e il passato come un bene
unico da conservare intero.
Dietro tutto questo, si sa, c’è
la modernità da tutti i critici sempre attribuita al suo autore,
STO, teatrante e artista multiforme, uomo di cultura raffinato, grande
maestro di stile, eleganza e buon gusto che è sempre stato, fino
all’ultimo, signore della tradizione e attentissimo osservatore della sua
epoca.
Bonaventura ha dunque ben incorporato nella
sua cartella genetica il principio stesso della modernità, che come
si sa ha un’orizzonte un po’ più vasto dell’attualità. Ed
è un orizzonte che ai bambini non dà mai le vertigini: ci
si trovano anzi benissimo – così come fanno immediatamente propri
con entusiasmo I pirotecnici giochi linguistici dei versetti, colti, spiritosi
e leggibilissimi, di Sto.
Le note che seguono, infine, tentano di
rispondere alla curiosità di chi volesse scoprire più a fondo
le complesse componenti della cartella genetica di Bonaventura, figlio
di Sto.
BONAVENTURA E IL SUO AUTORE
Queste pagine si propongono di definire
l’identità del Signor Bonaventura e conseguentemente i criteri di
lavoro da seguire per riproporlo - ben definito, integro, a fuoco - al
pubblico d’oggi. Un Bonaventura impreciso e privo di spessore è
in contraddizione con se stesso e quindi improponibile.
Per Bonaventura, giocoso compagno di almeno
quattro generazioni di italiani, si intende un complesso di opere e di
personaggi. Ma opere non vuol dire soltanto 2000 storie circa e 6 commedie.
Opere vuol dire Sergio Tofano. Scrivo di proposito questo nome per intero,
evitando lo sbrigativo STO, dietro il quale si celava con una discrezione
che non tocca a noi assecondare, parlando di un personaggio del quale è
stato detto con autorità: “La lezione di Tofano è oggi ancora
tutta da scoprire e accettare” (G. Strehler).
Per definire Bonaventura ed i suoi meccanismi
narrativi occorre quindi una conoscenza complessiva ed approfondita di
Sergio Tofano - che ho conosciuto come autore non tanto perché era
mio padre, ma piuttosto attraverso un lavoro di ricerca svoltosi dopo la
sua scomparsa e durato diversi anni. L’aver studiato a fondo - non soltanto
per attaccamento sentimentale o per conservazione delle memorie, ma anche
e soprattutto per esigenze professionali, in più occasioni e sotto
diversi punti di vista, e con l’aiuto e la consultazione di critici ed
esperti - tutto quello che Sergio Tofano ha scritto, detto, fatto e disegnato,
e la massa di dati così raccolta, ci permettono oggi di individuare
che cosa sia in concordanza col personaggio Bonaventura-Sergio Tofano e
che cosa no, e su quali basi poggi la sua tanto ricordata “modernità”.
LA MULTIFORME IDENTITA’ DI STO
“...ma per carità, niente quadretto
familiare, niente bozzetto patriottico, niente oleografie patetico-sentimentali;
non storie lacrimevoli di piccoli saltimbanchi maltrattati o di spazzacamini
affamati, né drammetti pietosi di orfanelli e trovatelli derelitti;
non gesti edificanti di scolaretti probi né nobili azioni di balilla
eroici. E soprattutto nessuna preoccupazione moraleggiante ed educativa.
Càpita così di rado che i bambini si possano portare a teatro:
quelle poche volte che càpita, facciamoli ridere, poveri piccoli;
e non stiamo lì col fucile spianato della morale, della religione,
dell’amor proprio, dell’educazione... Facciamoli ridere, vivaddio, a teatro:
ché ogni loro risata accenderà un raggio in più di
felicità nella loro esistenza, predisponendoli così all’ottimismo
e risvegliando in essi il senso della bontà; più benefica
quindi dei predicozzi, dei pistolotti e, soprattutto, della retorica.”
(Sergio Tofano, “Recitare per i bambini, SCENARIO, 1937)
A questo credo di Sergio Tofano va aggiunta
una constatazione: che STO, ricordato come uomo di teatro, disegnatore,
scrittore, fu anche un pubblicitario ed un capocomico, per il quale, quindi,
il meccanismo della presa sul pubblico era pane quotidiano. Si potranno
allora fare alcune considerazioni sul pluridecennale successo (in vita
dell’autore e in seguito e ancor oggi) che ha avuto Bonaventura, questa
“ultima maschera della Commedia dell’Arte”, come lo definisce un dichiarato
allievo di STO, Emanuele Luzzati. Una maschera così piena
di umori moderni da essere sempre attuale.
Va prima di tutto tenuto ben presente e
sottolineato che Bonaventura è solo la punta di un iceberg: il resto
è Sergio Tofano. Se lo si stacca da questa sua base, Bonaventura
si sgretola, diviene sfocato, non percepibile con immediatezza, non credibile
e quindi non proponibile. Tutt’al più resta un contenitore anonimo,
un “logo”. Bonaventura è intero solo con Sergio Tofano ben presente
alle sue spalle.
L’unico modo possibile, quindi, col quale
si possa tentare di proseguire l’opera d’invenzione di Bonaventura, è
il metodo col quale Sergio Tofano affrontava non solo Bonaventura, ma anche
e soprattutto il resto della sua attività.
Bisogna mettere in chiaro, rischiando di
scandalizzare gli ammiratori della sua figuratività e, in generale,
i patiti della “civiltà dell’immagine”, che Sergio Tofano, STO,
non era propriamente un disegnatore.
E cioè un artista la cui invenzione
nasce visualmente e si soddisfa nel segno grafico. Era invece
un uomo di lettere:
scrittore, narratore, poeta;
un uomo di teatro completo:
attore, regista, scenografo, costumista
e drammaturgo (non a caso il suo modello prediletto era Molière);
un maestro:
che ha formato generazioni di attori e
che ha espresso in anni d’insegnamento, e per iscritto, le sue idee, la
sua metodologia e il suo stile. Era insomma un uomo di pensiero, di parola,
di testo - e non solo di immagini.
Sto disegnatore, Tofano attore: due in
uno? Un grande critico scrisse che “Tofano attore e Tofano disegnatore
sono tutt’uno, e le cose più carine che il primo ci dà, ce
le dà quando diventa, con quella grazia elegante di stilizzato sapore
grottesco, uno dei suoi pupazzi” (Silvio d’Amico). Il segreto di questa
unità sta nella natura stessa di Tofano, nel suo ‘personaggio’,
nello stile della sua vita dove un apparente ottimismo è sempre
messo in forse dall’ironia.
DIETRO LE QUINTE DELLE STORIE DI STO
In ogni storia di Bonaventura, dunque,
a qualsiasi mezzo destinata (schermo, scena, pagina stampata) la matrice
dell’ azione sarà sempre pensata come drammaturgia o, per meglio
dire, come partitura teatrale: STO è stato una dimostrazione vivente
della inanità dell’annoso dibattito “prima le parole o prima le
immagini?” Sull’arte della composizione drammatica e sull’idea dell’ unità
del teatro e della perfetta integrazione, senza egemonie, tra le arti che
lo compongono erano fondate tutte le creazioni di STO.
La struttura narrativa si organizza così
immancabilmente in sequenze di nuclei drammatici rigorosamente concatenati.
La chiave compositiva di Bonaventura è infatti la concatenazione
logica: se questa è assente, se le azioni non sono motivate da un
“conflitto”, (cioè da uno scontro di comportamenti e dalle trovate
verbali che li esprimono) e sono motivate solo dalla trovata visuale-motoria,
allora non ci sarà unità drammatica ed ogni momento resterà
giustapposto e non legato agli altri, senza progresso dinamico e con molto
minore presa profonda sul pubblico. Questa chiave (che è poi la
chiave della struttura classica) è il marchio genetico di Bonaventura.
Le procedure di formazione delle
storie di Bonaventura, hanno dunque delle fasi ineludibili: uno schema
drammatico (vedremo poi quali siano le sue costanti) / che si esprime compiutamente
in una struttura verbale / che suggerisce le soluzioni visuali. La rapidità
e la sicurezza con le quali STO disegnava una tavola di Bonaventura, derivava
dal fatto che era arrivato con questo all’ultima fase. Aveva già
messo a punto (in autobus, nelle attese delle prove, in camerino durante
gli intervalli) uno schema narrativo e aveva già scritto (prima
a matita in un quadernetto e poi battuto a macchina) tutte le quartine.
Il grande talento figurativo (e va ricordato
che in un certo momento della sua vita, negli anni ’20, Sergio Tofano rifiutò
di esercitarlo di per sé, rinunciando all’offerta di Vanity Fair
di trasferirsi negli USA come disegnatore fisso) era solo il catalizzatore
(come il trucco e il costume per l’analisi di un personaggio) di un processo
d’indagine lungo, minuzioso, analitico, razionale, addirittura volontaristico
(basti pensare alla incredibile gamma della sua vocalità, tutta
basata sulla scarsezza dello strumento vinta dallo studio e dalla volontà),
un processo sempre identico, sia che si trattasse di costruire un racconto,
sia di incatenare delle rime, analizzare un personaggio, mettere in scena
una commedia, comporre una vignetta, formare degli allievi. Un processo
che partiva, con curiosità e passione, dall’osservazione dei comportamenti
umani (sia diretta, sia mediata dallo studio degli autori prediletti),
ma arrivava poi alla selezione ed alla essenzializzazione dei dati raccolti
per vie rigorosamente razionali.
Perché, altra cosa da tenere ben
presente, il retroterra culturale di Sergio Tofano era inequivocabilmente
quello umanistico-classico-razionalistico e non certo quello romantico-patetico.
Non si puo’ non tener conto di questo retroterra e del conseguente modo
d’operare, che è stato anche da Sergio Tofano stesso definito più
e più volte, nero su bianco e nel corso del suo insegnamento, come
scelta dell’intelligenza e rifiuto dell’istinto.
Bonaventura è spiritosamente libero,
semplice, apparentemente facile, ed i suoi meccanismi comici funzionano,
proprio perché ha alle spalle una personalità abituata alla
costruzione razionale rigorosa e consapevole. Perché cioè
si sottopone (sornionamente: perché il suo modo di essere paradossale,
il massimo dell’ironia, sta proprio nel seguire accuratamente le leggi
della logica) alle regole narrative e drammaturgiche classiche, ad una
disciplina che porta all’individuazione dell’essenziale e del coerente
ed all’eliminazione del superfluo. Non a caso il suggerimento ricorrente,
che tutti gli allievi di Tofano ricordano, era: “Togliere, togliere, togliere...”
Questa autodisciplina della limitazione
dei mezzi espressivi, che si manifestava anche nella limpida quadratura
compositiva, nella struttura a “pezzi chiusi”, irrinunciabile, delle commedie
e dei racconti, nell’ironica mascheratura del gioco delle rime e
della metrica, aveva come risultato un’estrema concentrazione della ricchissima
carica umana originaria - tanto più forte quanto più si celava
con discrezione e si concedeva con parsimonia - ed una conseguente
efficacia degli effetti. I contenuti culturali di Bonaventura (dal futurismo
a Molière, da Satie a Metastasio, da René Clair all’operetta,
da Labiche a Pirandello) sarebbe stato troppo facile metterli in mostra
platealmente. Non l’ha fatto e non va fatto. La loro forza sta nell’essere
sempre sottintesi, dietro un’apparenza di assoluta semplicità e
leggibilità.
Questa è dunque la disciplina produttiva,
la “gabbia” di Bonaventura, dalla quale nascono, tutti essenziali e ben
soppesati, i suoi elementi caratterizzanti ed i suoi comportamenti. Una
disciplina da far propria, come strumento creativo ed elemento di forza.
A tutto questo va aggiunto che, data la sua provenienza ed il suo retroterra
(e va ricordato ancora una volta Molière) Bonaventura è facilmente
riconoscibile come appartenente alla famiglia dei servi della commedia
classica e poi della commedia dell’arte. Sotto la sua essenzialità
è dunque concreto e realistico, quanto di meno poetico ci possa
essere in senso romantico, patetico, lirico. Un personaggio ricco di teatralità,
non un astratto ghirigoro o un muto pagliaccio.
I VALORI DEL SIGNOR BONAVENTURA
Proprio per l’esistenza e l’elaborazione
di questo vasto retroterra, accade che il confronto con Bonaventura riduca
a dimensioni casalinghe ogni Mito: Poesia, Pathos, Lirismo, se fanno capolino
perdono subito le maiuscole, rovesciati in ironia. E ne consegue che l’effetto
STO non possa che operare analogamente su miti moderni come la Tecnologia
o il Successo. E’ questo che crea la libertà di Bonaventura - che
si libera immancabilmente con l’ironia , la leggerezza, la non partecipazione,
dal dominio dei miti e dei luoghi comuni. Fino al punto che anche il suo
essere un “vincitore”, grazie al milione, è un’ironia sulla Vittoria,
oltre che sul Denaro.
L’atteggiamento più evidente di
Sergio Tofano è dunque l’antiretorica. Che si manifesta nel rovesciamento
ironico dei miti. Sul meccanismo delle favole rovesciate, che Tullio De
Mauro individua come una delle componenti essenziali della sua opera, STO
ha basato un intero romanzo, “Il Romanzo delle mie Delusioni”. Ma
il procedimento è usato costantemente anche nei racconti in prosa
e in versi e, naturalmente, nelle storie del signor Bonaventura, tavole
o commedie che siano.
Edoardo Sanguineti trova nel linguaggio
di STO “i famosi, sanciti da Montale, effetti d’urto tra l’aulico
e il prosaico”. Con questi effetti d’urto (“Un aulire di rose e di benzina...”)
l’ironia di STO si esercita sui miti - in modo più raffinato nei
racconti e nei poemetti come le “Rime d’Amore ad Orsola”, in modo più
immediato quando scrive per i bambini - e fa sì che quando successo,
denaro, posizione sociale, eroismi, opere dell’ingegno e della tecnica
e via dicendo, rischiano di distaccarsi dalla misura e dal buon gusto,
STO, con una strizzata d’occhio un po’ bonaria e un po’ dispettosa, li
rimetta a posto, in una misura più umana e quotidiana.
Il Milione (...ma non i milioni reali
origine di tanti mali:
noo! Milioni per finta!
Milioni di carta dipinta!...),
questo “attrezzo da clown... così
irreale da provocare un confronto con la realtà” (Antonio Faeti),
“oggetto fatato mai messo in azione, che non diventa mai altro da sé,
e che quindi non si consuma mai” (Edoardo Sanguineti), dando luogo così
ad un eterno lieto fine - il milione, dunque, è uno dei suoi strumenti
principali. Ma, con tutta la sua carica ironica, nasconde segreti insegnamenti
espressi con molta discrezione. Non è detto, infatti, che il suo
messaggio si fermi soltanto ad una spensierata e fantasiosa noncuranza
per il lavoro e il guadagno. A dire il vero, anzi, Bonaventura, “che ridotto
al lumicino – deve fare l’attacchino”, è sempre molto attento alla
consistenza del suo gruzzolo e molto spesso indaffarato a cercare modi
non solo per sbarcare il lunario, ma anche per far fruttare il capitale,
come si puo’ vedere da una numerosa serie di avventure:
Qui comincia l’avventura / del signor Bonaventura,
…che padrone è diventato / di un
garage ben avviato
…che ha un profondo dispiacere / nel trovar
vuoto il forziere
…che alla banca ora riscuote / numerose
banconote
…che alla banca a frutto pone / per prudenza
il suo milione
…che dei suoi milioni stufo / fa il commercio
del tartufo
…che s’è messo a far denari / commerciando
libri rari
… e così via.
L’ironia sul denaro di quell’ “ossimoro
vivente” che è Bonaventura, più che attraverso la surreale
ingenuità imprenditoriale, opera in realtà seguendo percorsi
più complessi e molto più attaccati alla concretezza della
vita di quanto ci si aspetterebbe. E’ vero che Bonaventura cerca di intraprendere
un’attività di garagista o di investire in banca i suoi milioni
(in banca, non nelle nuvole), ma il risultato è sempre un malestro
o un disastro di cui è vittima. Ed è alla vittima, trasformata
grazie alla sua sventura in benefattore, che arriva il premio del Milione.
Alle vittime e ai benefattori, dice cioè il messaggio, sarebbe giusto
che spettasse un iperbolico premio in denaro sonante, una bella fetta della
ricchezza che gira per il mondo. In un’intervista sulle origini e l’identità
di Bonaventura, Giancarlo Fusco chiese a Sto: “Ma lei è proprio
convinto che la bontà sia premiata, nella vita?” “Be’, questo è
un altro paio di maniche. Lasciamola lì…” sorrise Sto in risposta.
“Allora lei è uno scettico!” “No, insomma… rimaniamo in questa illusione!”
Per spiegare come e perché questo
Milione sia così reale (e allo stesso tempo “così irreale
da provocare un confronto con la realtà”) ci voleva una lezione
di un economista che di milioni se ne intende davvero”:
“Certamente questo milione è un
valore mitico, un compenso mitico quasi frutto d’illusione. Però
è forse anche qualcosa di diverso. Intanto vorrei notare che Bonaventura
comincia all’inizio col ricevere medaglie ed encomi, poi il tutto si traduce
in un milione. E il milione haun valore monetario vero e proprio, intanto
perché Tofano aun certo punto sente la necessità di passare
da un milione a un miliardo, poi perché questo milione diventa il
dramma di tutti i lettori quando Bonaventura lo perde e in terzo luogo
farei presente che nelle storie il Milione è a volte una mancia
, ma a volte è una vera e propria cifra, che il Barone Partecipazio
ambisce a sottrargli. E questa cifra di “un milione” è quello che
una persona che percepiva un alto stipendio poteva conseguire in 40 anni
di lavoro. E negli anni ’60, quando il potere d’acquisto divenne minore,
Tofano passa al miliardo, che è una cifra dello stesso valore. Si
puo’ dire dunque che, sia pur frutto d’illusione o di fantasia, il Milione
è la quantificazione del mito di una vita. Cioè, Sto non
gli dà il vello d’oro: gli dà Un Milione! “ (Piero Barucci)
Un premio sognato per una vita perbene,
insomma, che pur se intessuta di bizzarrie fantasiose, era fatta di gentilezza,
di rispetto, di intelligenza e di buon gusto. A queste qualità STO,
Sergio Tofano, educava i bambini sotto il fascismo, con ironia, stile,
eleganza ed una grande apertura alla cultura europea: “Bonaventura, che
proviene da una dimensione non-sensicale più anglosassone che nostrana...
porta ai bambini anche la finezza disegnativa e la visione del mondo dei
Fliegende Blätter e della grande tradizione iconografica tedesca”
(Antonio Faeti)
Per questo colui che è destinato
ad essere sempre messo in berlina è l’eterno avversario di Bonaventura,
Barbariccia - e cioè l’aggressore, il contrario costituzionale
di Bonaventura (e in questo senso va anche interpretato, nelle storie,
il tema ricorrente del ladro sconfitto). L’Aggressione in tutte le sue
forme, compresa quella che a Sergio Tofano, profondamente, ereditariamente,
severamente moralista, dava più fastidio, malgrado, o proprio, per
la sua professione pubblica: l’Esibizione. “STO non si oppone solo
alla letteratura lacrimatoria per l’infanzia... ma anche a quella che glorifica
i forti... alla pedagogia dei prebalillini, degli arrampicatori sociali
premiati, dei bravacci: questo mondo rovescia Tofano, qui è da raccogliere
l’alterità di Tofano” (Antonio Faeti)
LA FORMULA BONAVENTURA
Il rigore dello stile di STO, si ritrova
naturalmente nel modo di comporre le avventure di Bonaventura. Un’ analisi
strutturale minuziosa di queste storie, condotta su alcune centinaia di
tavole, mi ha permesso di verificare come, con poche varianti, esse siano
tutte costruite su uno schema costante:
1. la passeggiata
o l’attività
o il mestiere iniziale di Bonaventura
2. La sventura
che càpita
a Bonaventura per cause naturali, animali o criminali
3. la ventura
che il risultato
dell’incidente porta a qualcuno
4. il premio
con il milione
(la breve serie di storie “negative” in
cui perde il milione
sono l’eccezione che conferma la regola
e rinforza la norma)
Ognuna di queste fasi ha la sua individualità
narrativa e il mestiere di STO si riconosce nella potenzialità di
sviluppo che ognuno di questi nuclei ha in sé. Ma comunque li si
sviluppi essi riconducono sempre allo stesso lieto fine. Un esempio:
1. Bonaventura passeggia 2. Un forte vento
lo scaraventa contro un attacchino e si inzuppa così tutto di colla.
Lo stesso vento strappa alla borsa di un banchiere un pacco di 100 biglietti
da 10 lire 3. che svolazzando arrivano a incollarsi tutti su Bonaventura.
4. Il banchiere premia il recupero delle 1000 lire con un milione.
La sproporzione ironica, in questa come
in tutte le altre storie, tra beneficio procurato e premio ricevuto da
Bonaventura benefattore involontario, smitizzando col milione iperbolico
il denaro tout court, porta a galla gratificazioni meno relative: la sicurezza
dell’onestà premiata, la speranza che tutto finisca sempre bene.
Non bisogna dimenticare, come rammenta Oreste Del Buono, che “Bonaventura
è nato per insegnare a ridere delle proprie sventure in un momento
tetro per il paese, subito dopo Caporetto“, e aggiunge: “ Che tutto dipenda
, oltre che dalla ilare e leggera fantasia e dalla squisita eleganza grafica
e cromatica di questi più balletti che raccontini, dal milione tanto
assurdamente e facilmente guadagnato da Bonaventura alla fine di ogni sua
avventura, cominciata sempre con una sventura?”
GLI STRUMENTI DI BONAVENTURA
Ma non c’è dubbio che una delle
ragioni principali del successo di Bonaventura, nel Corriere dei Piccoli
e sulle scene, stia nel fatto che a questa gratificazione finale si è
condotti, si, con rigorosa costruzione - ma anche con la scatenata voglia
di divertire ed il ritmo incalzante di questi suoi “balletti”. Ed a realizzare
questa dinamicità drammatica contribuiscono non poco i versetti,
“il rimario pirotecnico di STO”, come lo definiva Silvio d’Amico. Quei
versetti che, come ha scritto un critico inglese, si potrebbero collocare
“tra Gilbert & Sullivan e Lewis Carroll”. “Queste bambocciate linguistiche
giocate in caricatura, speculando sopra linguaggi precostituiti... sono
uno degli elementi fondamentali del tofanese... e spiegano perché
sia piaciuto enormemente, e piaccia enormemente, ai bambini, proprio per
questo aspetto elementare di gioco con la caricatura verbale: è
la rima che guida il gioco, è il materiale linguistico che fa la
storia, sono i clichés che fabbricano la vicenda e che creano le
immagini” (Edoardo Sanguineti).
L’educazione linguistica operata da STO
su diverse generazioni è stata considerevole. Ma questi versetti,
estremamente colti eppure semplicissimi e chiarissimi, colpiscono a più
livelli. Non solo arricchiscono la lingua e suscitano un gioco d’echi e
connotazioni culturali - ma provocano anche un effetto di puro dinamismo
ritmico che scandisce, incalza, rafforza l’immagine. E non si parla solo
degli ottonari scritti per le tavole, ma anche dell’infinita varietà
di metriche e ritmi verbali delle commedie, sui quali Bonaventura e i suoi
compagni giocano con somma disinvoltura, e ai quali è d’obbligo
rifarsi (e senza i quali non esiste Bonaventura).
Un discorso parallelo va fatto per la musica.
Le commedie di Bonaventura sono commedie musicali, le sventure, i
lazzi, gli inseguimenti, le acrobazie e le capriole, le filastrocche, i
festosi cori finali, le cattiverie di Barbariccia, le svenevolezze del
bellissimo Cecè, la prosopopea di Re e Regine, le collere e le malinconie
degli Orchi addomesticati - tutto era costruito ( come nelle commedie dell’arte,
come in Molière, come in Metastasio ...) su uno strepitoso senso
dei tempi che nasceva dal ritmo musicale non meno che da quello verbale
e da quello visuale, intrecciati nell’unità indivisibile del Teatro.
E del resto la stessa grafica di STO ha una sua evidentissima musicalità
di linee. Il corpus di “musiche di Bonaventura” è notevole, composto,
per le varie commedie, da Ermete Liberati, Carlo Franco, Nino Rota, Fiorenzo
Carpi, Roman Vlad. Ad essi si è aggiunto, dal 1980, Aldo Tarabella,
che ha anche recuperato, riordinato e revisionato l’intero corpus musicale
delle sei commedie.
Per concludere il discorso sugli strumenti
espressivi di STO, va sottolineata la vastità della produzione figurativa
di STO, a disposizione per ricreare, con fedeltà al canone Bonaventura,
i personaggi e gli ambienti delle sue storie. Per la realizzazione in corso
dei cartoni animati digitali 3D (1999-2000) è stato costituito su
un campione di 300 tavole un catalogo per categorie che indica, tavola
per tavola, trame, personaggi, costumi, ambienti e oggetti. Aggiungo che,
personalmente, ho usato in alcune messe in scena delle commedie, per i
costumi delle Contesse e Baronesse compagne del bellissimo Cecè,
gli abiti di Rosetta (non a caso venivano chiamati “la coppia più
elegante d’italia) tratti dalle bellissime foto che di lei
ha scattato STO rivelandosi con questo un fotografo non meno elegante del
disegnatore. Anche di questi materiali si sta raccogliendo una vasta scelta
sul sito di STO.
I SUCCESSI DI BONAVENTURA
Le commedie di Bonaventura hanno sempre,
per i bambini e per il pubblico adulto, una grande, e sorprendente, attrattiva.
Oggi, in epoca di televisione, internet e videogiochi, di fronte alle più
disparate platee di nonni, genitori e bambini, o di irrequieti scolari,
si è visto sempre ripetersi, all’estero e in Italia, l’attonito
incanto e il delirante entusiasmo che suscita questa “ultima maschera della
Commedia dell’Arte”.
Ho constatato in prima persona il successo
magico della formula STO, in occasione delle messe-in-scena da me realizzate
(basate su ricordi personali, su ricordi professionali legati alle messe-in-scena
di STO con le quali ha collaborato e su una ricca documentazione) con l’obbiettivo
di realizzare delle edizioni il più possibile fedeli all’ incanto
creato dall’umorismo e dall’intelligenza di Sergio Tofano, mio padre. Edizioni
filologiche, si potrebbero chiamare, se teniamo ben presente che, trattandosi
di Bonaventura, filologiche vuol dire divertentissime, coloratissime, musicalissime,
movimentatissime - e adatte a un larghissimo pubblico.
Non sono stato il solo a constatarlo. Oltre
alle moltissime rappresentazioni scolastiche e filodrammatiche che si ripetono
annualmente, dalla scomparsa di Sergio Tofano (1973) hanno rappresentato
commedie del Teatro di Bonaventura il TEATRO DI GENOVA (L’Isola dei Pappagalli,
regìa di G.Fenzi), il TEATRO STABILE DI TORINO (Una losca congiura
e L’Isola dei pappagalli, regìa di F.Passatore), il TEATRO REGIONALE
TOSCANO (Qui comincia la sventura, regìa di G.Tofano), il TEATRO
DELLA TOSSE (La Regina in berlina, regìa di T. Conte), il TEATRO
DI ROMA (Qui comincia la sventura, regìa di G.Zampieri), tutti con
grandissimo successo. L’edizione del Teatro di Roma è stata ripresa
per tre stagioni in lunghe tournées, e lunghe programmazioni hanno
avuto anche gli altri Teatri.
Un accoglienza sorprendentemente simile
si è verificata anche all’estero. Le Commedie di Bonaventura sono
sempre state considerate intraducibili, per il loro rimario pirotecnico
(la definizione è di Silvio d’Amico) e per il fuoco di fila di giochi
di parole. Ma a me è capitato di partecipare ad una impresa impossibile:
la prima traduzione in assoluto in una lingua straniera - e la più
imprevedibile, l’ebraico - di una commedia di Bonaventura, Qui comincia
la sventura, per la messa in scena da me realizzata per il TEATRO
MUNICIPALE DI HAIFA, di cui ero direttore artistico. Anche qui si è
ripetuto lo stesso entusiastico successo, che ha coinvolto tutto il pubblico
israeliano (notoriamente di grande cultura teatrale) nella scoperta di
Bonaventura, e non solo i molti ebrei italiani accorsi in massa e con le
lacrime agli occhi per la nostalgia. In quell’occasione mi arrivò
tra le mani una piccola fotografia di una Regina in berlina realizzata
a due passi dalla tragedia, nella primavera 1943, dalla Scuola Ebraica
di Ferrara e messa in scena da un giovane insegnante di nome Giorgio Bassani.
Accanto ad ognuno di quei bambini sorridenti in costume – Bonaventura,
Cecé, Cenerentola, il Re, il Bassotto – si poteva scrivere il loro
destino : Auschwitz, Buchenwald, Birkenau…
Analogo entusiasmo, con pressanti richieste
di traduzione, è stato riscontrato da Gino Zampieri, quando ha portato
a Berlino la propria edizione di Qui comincia la sventura, prodotta dal
Teatro di Roma.
Accanto a tutte queste ripetute riprese
delle commedie di Bonaventura, va ricordato infine anche il successo della
Mostra “STO, una storia lunga un milione” e della trasmissione RAI-Radio
2 in 13 puntate e dallo stesso titolo.
La Mostra, ordinata e allestita
nel 1979 da Gilberto Tofano al Palazzo delle Esposizioni di Roma, per iniziativa
dell’allora assessore alla cultura Renato Nicolini, fu poi rilevata, ampliata
e conservata dal Civico Museo Biblioteca dell’Attore di Genova che,
in collaborazione con quei Comuni, l’ha presentata a Genova, Milano, Torino
e Firenze.
A Firenze in occasione della Mostra, nel
1980, sono state realizzate per iniziativa del Gabinetto Viesseux, una
rassegna di film interpretati da Sergio Tofano e tre tavole rotonde - STO
disegnatore, Il Linguaggio di STO, e Sergio Tofano attore e maestro – con
la partecipazione di Lele Luzzati, Antonio Faeti, Tullio De Mauro, Edoardo
Sanguineti, Alessandro d’Amico, Paolo Emilio Poesio, Renzo Tian e molti
altri personaggi della cultura. In quella stessa occasione è stata
prodotta dal Teatro Regionale Toscano la commedia Qui comincia la sventura
per la regìa di Gilberto Tofano.
La Mostra comprende i materiali ora raccolti
nel Fondo Tofano del Museo Biblioteca dell’Attore: fotografie, disegni,
schizzi, illustrazioni, manifesti, libri, documenti, costumi, gigantografie,
cassette video di spettacoli TV e film interpretati da Sergio Tofano.
A questi materiali prevalentemente visuali
si sono poi aggiunti i materiali sonori della trasmissione omonima realizzata
da Gilberto Tofano nel 1982 per Radio2 RAI, con una abbondante raccolta
di interviste a STO e ad attori, registi, critici, pedagoghi, letterati,
critici d’arte e perfino economisti (sul milione di Bonaventura), e brani
di spettacoli radio e l’intero corpus delle commedie – e delle canzoni
delle commedie – di Bonaventura, registrato per l’occasione.
Tutto l’insieme multimediale di questi
materiali si va ora raccogliendo nel sito dedicato a STO, www.sto-signorbonaventura,it
, dove prestissimo appariranno anche I “trailer” della nuova impresa
di Bonaventura: il primo cartone italiano in animazione digitale 3D, BONAVENTURA
E IL CANOTTO, numero 1 di una prossima serie televisiva.
CONCLUSIONE
Bonaventura, dunque, è sempre pronto
ad affrontare nuove imprese – se ci si ricorda che non si tratta di un
personaggio di concezione elementare, che ognuno puo’ sentire a suo modo,
definire attraverso un’impressione istintiva, accomodare ad altri territori
e modificare a piacere. Ogni presunta proponibilità di Bonaventura
basata su modifiche del suo complesso codice genetico, sarà di corto
respiro e in definitiva controproducente: il mite Bonaventura si ribellerà.
Perché, ripeto, la molteplicità
di aspetti, espressi con la massima semplicità e leggibilità,
che si riscontra in Bonaventura, rivela una costruzione abilissima condotta
con grande stile, il cui risultato è una macchina perfetta e sempre
pronta a funzionare. Sarebbe ingenuità o presunzione volerla smontare
in nome di una velleitaria “attualità”. Imparare a riconoscere i
meccanismi propri dell’arte di STO, utilizzarli e metterli in funzione,
quelli, e solo quelli, e non altri - questa è l’unica garanzia perché
la modernità di Bonaventura resti intatta e quel successo si riproduca
anche oggi e attraverso tutti i media disponibili.
E questo non si puo’ senza studiare e far
propri il retroterra e il metodo di Sergio Tofano. Solo avendo alle spalle
tutto questo si puo’ sperare di ottenere la fiducia di Bonaventura e quindi
la libertà di inventare e divertirsi assieme a lui. Solo per questa
via Bonaventura resterà sempre disponibile, attualissimo e ad altisimo
livello di proponibilità.
FINALINO
Molte altre dotte osservazioni sono state
scritte dagli esegeti di Bonaventura ed andrebbero citate. Mi limito a
trascriverne una , che contemporaneamente chiude e riapre, in tofanese,
il discorso sui mille mestieri e le mille facce di questo personaggio:
“Bonaventura è un ossimoro vivente.
E’ cioè un personaggio fatto di due contrari: da un lato presentissimo,
dall’altro assentissimo, da un lato ilare e beato, dall’altro tristissimo
e melanconico (Antonio Faeti)
Richiesto di un’opinione, che direbbe a
questo punto STO? Non ho dubbi che, in tofanese, risponderebbe:
Le zanzare a Zanzibar
vanno a zonzo pei bazar...
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