BONAVENTURA E I SUOI ESEGETI


                                                                                                                        Gianni Rodari
LA PROMESSA DI BONAVENTURA – Una volta alla settimana, nella nostra casa ben poco confortevole, arrivava Bonaventura e ci portava, in premio per la nostra attesa, un milione grande come un lenzuolo. Sapevamo perfettamente in anticipo che all’ultima vignetta le persecuzioni del torvo Barbariccia sarebbero cessate, le goffaggini dell’elegantissimo Cecè si sarebbero ricomposte e Bonaventura, grazie al caso che faceva di lui in continuazione un involontario salvatore di pericolanti, il nemico numero uno dei nemici pubblici, l’agente universale del bene, avrebbe intascato il rituale bigliettone. Che cosa, allora, ci faceva leggere ogni volta la sua storia come nuova? Come accadeva che il milione destasse sempre la sorpresa del primo? C’erano, intanto, quei versetti accurati, limpidi, seminati con discrezione di qualche pargoletta rara, di qualche rima acrobatica, insomma, di suoni inattesi: l’effetto della loro musica era quello di un’ infinita serie di variazioni sullo stesso tema. Un effetto di magia. C’erano poi nelle avventure e nelle sciagure (per fortuna rare) del signor Bonaventura sottili, indirette allusioni al mondo, ai suoi personaggi, ai casi della vita che, come diceva Geppetto, “sono tanti”. E c’era nel finale ottimistico una promessa generosa di gratificazione, l’assicurazione che ogni speranza, prima o poi, si realizza, che ogni sogno scende in terra. 
La gente si sottovaluta. Negli anni in cui gli adulti cantavano sospirando: “Se potessi avere mille lire al mese”, Bonaventura, senza alzare la voce, indicava ai bambini una meta mille volte più alta. Guadagnò il suo primo miliardo ben prima degli “industrialotti” del lavoro a domicilio. Non ignaro di guai e traversie, spesso disoccupato, col tempo anche sinistrato e senzatetto, Bonaventura ha continuato per mezzo secolo a insegnare che c’è sempre una via d’uscita; che Barbariccia è una tigre di carta; che catastrofi, incendi, fughe di di belve dai circhi, briganti da strada, incidenti automobilistici, cavalli imbizzarriti non hanno mai niente di definitivo: più in là c’è sempre il milione, come sopra le nuvole, anche nei giorni di nubifragio, c’è sempre il sole. 
Da bambini abbiamo amato Bonaventura per il suo intrepido candore. Da grandi abbiamo ammirato Sergio Tofano per la sua discrezione, la sua misura, la sua invisibile, sterminata, ironica pazienza.
Tullio De Mauro: la nascita di Bonaventura
Tullio De Mauro: i mestieri di Bonaventura
Tullio De Mauro e G. Santoni Rugiu: milioni e miliardi
Edoardo Sanguineti: un oggetto fatato
Piero Barucci: i valori del milione   1.     2.     3.
Sto con Giancarlo Fusco: è un premio?
Antonio Faeti: l'alterità di Sto  1.       2.
Tullio De Mauro: la nascita del bassotto
Edoardo Sanguineti: modelli in caricatura  1.     2.     3.
Tullio De Mauro: Rodari e Sto

 
Bonaventura,
istruzioni per l’uso
di Gilberto Tofano
1. MODERNITA’ DI BONAVENTURA
2. BONAVENTURA E ILSUO AUTORE
3. LA MULTIFORME IDENTITA’ DI STO
4. DIETRO LE QUINTE DELLE STORIE DI STO
5. I VALORI DI BONAVENTURA
6. LA FORMULA  BONAVENTURA
7. GLI STRUMENTI  DI BONAVENTURA
8. I SUCCESSI DI BONAVENTURA
9. CONCLUSIONE
10. FINALINO
MODERNITA’ DI BONAVENTURA
Ogni volta  che Bonaventura annuncia la sua riapparizione, una domanda si ripresenta regolarmente: il nuovo Bonaventura sarà “attualizzato”? E la risposta è regolarmente la stessa: BONAVENTURA E’ SEMPRE STATO ATTUALE, lungo tutti i decenni che ha attraversato senza scomporsi. Ma naturalmente il suo sguardo sull’attualità che lo circondava è sempre stato, come quello del suo autore, sornione, distaccato, molto molto ironico e inconfondibilmente  antiretorico.

Fin da una delle primissime tavole del CORRIERE DEI PICCOLI, ancor prima degli anni ’20, Bonaventura è stato protagonista di “una film” (negli anni ’50 si contenterà più modestamente del ruolo di comparsa) e da lì in poi ha avuto regolarmente a che fare con aeroplani, corse automobilistiche, marchingegni elettrici, e via via fino alle astronavi e agli extraterrestri – cogliendo anche al volo, quà e là durante il percorso, mode passeggere come la “motoruota” e il “pallon-bebé”. Fra i suoi mille mestieri si contano anche il palombaro, il fotografo, il motorista, il commerciante, il benzinaio, l’aeronauta, il giocatore in borsa e così via. E non si è rifiutato nemmeno di incontrare, con tocco leggero, la guerra, le macerie e la vita da sinistrato. Ed è così che Bonaventura è potuto diventare, senza alcuna contraddizione col suo passato, un testimonial della Campagna Euro di un grande quotidiano economico, il Sole 24 ORE, ricevendo per l’occasione alla fine delle sue fortunate sventure, con un taglio creato appositamente per lui, un Milione tutto in Euro.

Ma non correte subito alla conclusione: allora Bonaventura è “attuale”! Si e no. Né “attuale” né “retrò”. Come ha detto Antonio Faeti, “Bonaventura è un ossimoro vivente”.  Imprendibile e atemporale, Bonaventura si diverte a mescolare le carte, produce strani giochi di prospettiva, fa convivere re da operetta e aerei, Cenerentola e automobili – abituando così i bambini a navigare liberamente nel tempo ed a sentire il presente e il passato come un bene unico da conservare intero.

Dietro tutto questo, si sa, c’è la modernità da tutti i critici sempre attribuita al suo autore, STO, teatrante e artista multiforme, uomo di cultura raffinato, grande maestro di stile, eleganza e buon gusto che è sempre stato, fino all’ultimo, signore della tradizione e attentissimo osservatore della sua epoca.

Bonaventura ha dunque ben incorporato nella sua cartella genetica il principio stesso della modernità, che come si sa ha un’orizzonte un po’ più vasto dell’attualità. Ed è un orizzonte che ai bambini non dà mai le vertigini: ci si trovano anzi benissimo – così come fanno immediatamente propri con entusiasmo I pirotecnici giochi linguistici dei versetti, colti, spiritosi e leggibilissimi, di Sto.

Le note che seguono, infine, tentano di rispondere alla curiosità di chi volesse scoprire più a fondo le complesse componenti della cartella genetica di Bonaventura, figlio di Sto.

BONAVENTURA E IL SUO AUTORE
Queste pagine si propongono di definire l’identità del Signor Bonaventura e conseguentemente i criteri di lavoro da seguire per riproporlo - ben definito, integro, a fuoco - al pubblico d’oggi. Un Bonaventura impreciso e privo di spessore è in contraddizione con se stesso e quindi improponibile.

Per Bonaventura, giocoso compagno di almeno quattro generazioni di italiani, si intende un complesso di opere e di personaggi. Ma opere non vuol dire soltanto 2000 storie circa e 6 commedie. Opere vuol dire Sergio Tofano. Scrivo di proposito questo nome per intero, evitando lo sbrigativo STO, dietro il quale si celava con una discrezione che non tocca a noi assecondare, parlando di un personaggio del quale è stato detto con autorità: “La lezione di Tofano è oggi ancora tutta da scoprire e accettare” (G. Strehler).

Per definire Bonaventura ed i suoi meccanismi narrativi occorre quindi una conoscenza complessiva ed approfondita di Sergio Tofano - che ho conosciuto come autore non tanto perché era mio padre, ma piuttosto attraverso un lavoro di ricerca svoltosi dopo la sua scomparsa e durato diversi anni. L’aver studiato a fondo - non soltanto per attaccamento sentimentale o per conservazione delle memorie, ma anche e soprattutto per esigenze professionali, in più occasioni e sotto diversi punti di vista, e con l’aiuto e la consultazione di critici ed esperti - tutto quello che Sergio Tofano ha scritto, detto, fatto e disegnato, e la massa di dati così raccolta, ci permettono oggi di individuare che cosa sia in concordanza col personaggio Bonaventura-Sergio Tofano e che cosa no, e su quali basi poggi la sua tanto ricordata “modernità”.

LA MULTIFORME IDENTITA’ DI STO 
“...ma per carità, niente quadretto familiare, niente bozzetto patriottico, niente oleografie patetico-sentimentali; non storie lacrimevoli di piccoli saltimbanchi maltrattati o di spazzacamini affamati, né drammetti pietosi di orfanelli e trovatelli derelitti; non gesti edificanti di scolaretti probi né nobili azioni di balilla eroici. E soprattutto nessuna preoccupazione moraleggiante ed educativa. Càpita così di rado che i bambini si possano portare a teatro: quelle poche volte che càpita, facciamoli ridere, poveri piccoli; e non stiamo lì col fucile spianato della morale, della religione, dell’amor proprio, dell’educazione... Facciamoli ridere, vivaddio, a teatro: ché ogni loro risata accenderà un raggio in più di felicità nella loro esistenza, predisponendoli così all’ottimismo e risvegliando in essi il senso della bontà; più benefica quindi dei predicozzi, dei pistolotti e, soprattutto, della retorica.”  (Sergio Tofano, “Recitare per i bambini, SCENARIO, 1937)

A questo credo di Sergio Tofano va aggiunta una constatazione: che STO, ricordato come uomo di teatro, disegnatore, scrittore, fu anche un pubblicitario ed un capocomico, per il quale, quindi, il meccanismo della presa sul pubblico era pane quotidiano. Si potranno allora fare alcune considerazioni sul pluridecennale successo (in vita dell’autore e in seguito e ancor oggi) che ha avuto Bonaventura, questa “ultima maschera della Commedia dell’Arte”, come lo definisce un dichiarato allievo  di STO, Emanuele Luzzati. Una maschera così piena di umori moderni da essere sempre attuale. 

Va prima di tutto tenuto ben presente e sottolineato che Bonaventura è solo la punta di un iceberg: il resto è Sergio Tofano. Se lo si stacca da questa sua base, Bonaventura si sgretola, diviene sfocato, non percepibile con immediatezza, non credibile e quindi non proponibile. Tutt’al più resta un contenitore anonimo, un “logo”. Bonaventura è intero solo con Sergio Tofano ben presente alle sue spalle.

L’unico modo possibile, quindi, col quale si possa tentare di proseguire l’opera d’invenzione di Bonaventura, è il metodo col quale Sergio Tofano affrontava non solo Bonaventura, ma anche e soprattutto il resto della sua attività.

Bisogna mettere in chiaro, rischiando di scandalizzare gli ammiratori della sua figuratività e, in generale, i patiti della “civiltà dell’immagine”, che Sergio Tofano, STO, non era propriamente un disegnatore. 
E cioè un artista la cui invenzione nasce visualmente e si soddisfa nel segno grafico. Era invece
un uomo di lettere:
scrittore, narratore, poeta;
un uomo di teatro completo: 
attore, regista, scenografo, costumista e drammaturgo (non a caso il suo modello prediletto era Molière);
un maestro:
che ha formato generazioni di attori e che ha espresso in anni d’insegnamento, e per iscritto, le sue idee, la sua metodologia e il suo stile. Era insomma un uomo di pensiero, di parola, di testo - e non solo di immagini.

Sto disegnatore, Tofano attore: due in uno? Un grande critico scrisse che “Tofano attore e Tofano disegnatore sono tutt’uno, e le cose più carine che il primo ci dà, ce le dà quando diventa, con quella grazia elegante di stilizzato sapore grottesco, uno dei suoi pupazzi” (Silvio d’Amico). Il segreto di questa unità sta nella natura stessa di Tofano, nel suo ‘personaggio’, nello stile della sua vita dove un apparente ottimismo è sempre messo in forse dall’ironia.

DIETRO LE QUINTE DELLE STORIE DI STO
In ogni storia di Bonaventura, dunque, a qualsiasi mezzo destinata (schermo, scena, pagina stampata) la matrice dell’ azione sarà sempre pensata come drammaturgia o, per meglio dire, come partitura teatrale: STO è stato una dimostrazione vivente della inanità dell’annoso dibattito “prima le parole o prima le immagini?” Sull’arte della composizione drammatica e sull’idea dell’ unità del teatro e della perfetta integrazione, senza egemonie, tra le arti che lo compongono erano fondate tutte le creazioni di STO.

La struttura narrativa si organizza così immancabilmente in sequenze di nuclei drammatici rigorosamente concatenati. La chiave compositiva di Bonaventura è infatti la concatenazione logica: se questa è assente, se le azioni non sono motivate da un “conflitto”, (cioè da uno scontro di comportamenti e dalle trovate verbali che li esprimono) e sono motivate solo dalla trovata visuale-motoria, allora non ci sarà unità drammatica ed ogni momento resterà giustapposto e non legato agli altri, senza progresso dinamico e con molto minore presa profonda sul pubblico. Questa chiave (che è poi la chiave della struttura classica) è il marchio genetico di Bonaventura.

Le procedure di formazione delle  storie di Bonaventura, hanno dunque delle fasi ineludibili: uno schema drammatico (vedremo poi quali siano le sue costanti) / che si esprime compiutamente in una struttura verbale / che suggerisce le soluzioni visuali. La rapidità e la sicurezza con le quali STO disegnava una tavola di Bonaventura, derivava dal fatto che era arrivato con questo all’ultima fase. Aveva già messo a punto (in autobus, nelle attese delle prove, in camerino durante gli intervalli) uno schema narrativo e aveva già scritto (prima a matita in un quadernetto e poi battuto a macchina) tutte le quartine.

Il grande talento figurativo (e va ricordato che in un certo momento della sua vita, negli anni ’20, Sergio Tofano rifiutò di esercitarlo di per sé, rinunciando all’offerta di Vanity Fair di trasferirsi negli USA come disegnatore fisso) era solo il catalizzatore (come il trucco e il costume per l’analisi di un personaggio) di un processo d’indagine lungo, minuzioso, analitico, razionale, addirittura volontaristico (basti pensare alla incredibile gamma della sua vocalità, tutta basata sulla scarsezza dello strumento vinta dallo studio e dalla volontà), un processo sempre identico, sia che si trattasse di costruire un racconto, sia di incatenare delle rime, analizzare un personaggio, mettere in scena una commedia, comporre una vignetta, formare degli allievi. Un processo che partiva, con curiosità e passione, dall’osservazione dei comportamenti umani (sia diretta, sia mediata dallo studio degli autori prediletti), ma arrivava poi alla selezione ed alla essenzializzazione dei dati raccolti per vie rigorosamente razionali.

Perché, altra cosa da tenere ben presente, il retroterra culturale di Sergio Tofano era inequivocabilmente quello umanistico-classico-razionalistico e non certo quello romantico-patetico. Non si puo’ non tener conto di questo retroterra e del conseguente modo d’operare, che è stato anche da Sergio Tofano stesso definito più e più volte, nero su bianco e nel corso del suo insegnamento, come scelta dell’intelligenza e rifiuto dell’istinto.

Bonaventura è spiritosamente libero, semplice, apparentemente facile, ed i suoi meccanismi comici funzionano, proprio perché ha alle spalle una personalità abituata alla costruzione razionale rigorosa e consapevole. Perché cioè si sottopone (sornionamente: perché il suo modo di essere paradossale, il massimo dell’ironia, sta proprio nel seguire accuratamente le leggi della logica) alle regole narrative e drammaturgiche classiche, ad una disciplina che porta all’individuazione dell’essenziale e del coerente ed all’eliminazione del superfluo. Non a caso il suggerimento ricorrente, che tutti gli allievi di Tofano ricordano, era: “Togliere, togliere, togliere...”

Questa autodisciplina della limitazione dei mezzi espressivi, che si manifestava anche nella limpida quadratura compositiva, nella struttura a “pezzi chiusi”, irrinunciabile, delle commedie e dei racconti, nell’ironica mascheratura  del gioco delle rime e della metrica, aveva come risultato un’estrema concentrazione della ricchissima carica umana originaria - tanto più forte quanto più si celava con discrezione  e si concedeva con parsimonia - ed una conseguente efficacia degli effetti. I contenuti culturali di Bonaventura (dal futurismo a Molière, da Satie a Metastasio, da René Clair all’operetta, da Labiche a Pirandello) sarebbe stato troppo facile metterli in mostra platealmente. Non l’ha fatto e non va fatto. La loro forza sta nell’essere sempre sottintesi, dietro un’apparenza di assoluta semplicità e leggibilità.

Questa è dunque la disciplina produttiva, la “gabbia” di Bonaventura, dalla quale nascono, tutti essenziali e ben soppesati, i suoi elementi caratterizzanti ed i suoi comportamenti. Una disciplina da far propria, come strumento creativo ed elemento di forza. A tutto questo va aggiunto che, data la sua provenienza ed il suo retroterra (e va ricordato ancora una volta Molière) Bonaventura è facilmente riconoscibile come appartenente alla famiglia dei servi della commedia classica e poi della commedia dell’arte. Sotto la sua essenzialità è dunque concreto e realistico, quanto di meno poetico ci possa essere in senso romantico, patetico, lirico. Un personaggio ricco di teatralità, non un astratto ghirigoro o un muto pagliaccio.

I  VALORI DEL SIGNOR BONAVENTURA
Proprio per l’esistenza e l’elaborazione di questo vasto retroterra, accade che il confronto con Bonaventura riduca a dimensioni casalinghe ogni Mito: Poesia, Pathos, Lirismo, se fanno capolino perdono subito le maiuscole, rovesciati in ironia. E ne consegue che l’effetto STO non possa che operare analogamente su miti moderni come la Tecnologia o il Successo. E’ questo che crea la libertà di Bonaventura - che si libera immancabilmente con l’ironia , la leggerezza, la non partecipazione, dal dominio dei miti e dei luoghi comuni. Fino al punto che anche il suo essere un “vincitore”, grazie al milione, è un’ironia sulla Vittoria, oltre che sul Denaro.

L’atteggiamento più evidente di Sergio Tofano è dunque l’antiretorica. Che si manifesta nel rovesciamento ironico dei miti. Sul meccanismo delle favole rovesciate, che Tullio De Mauro individua come una delle componenti essenziali della sua opera, STO ha basato un intero romanzo, “Il Romanzo delle mie Delusioni”.  Ma il procedimento è usato costantemente anche nei racconti in prosa e in versi e, naturalmente, nelle storie del signor Bonaventura, tavole o commedie che siano.

Edoardo Sanguineti trova nel linguaggio di STO  “i famosi, sanciti da Montale, effetti d’urto tra l’aulico e il prosaico”. Con questi effetti d’urto (“Un aulire di rose e di benzina...”) l’ironia di STO si esercita sui miti - in modo più raffinato nei racconti e nei poemetti come le “Rime d’Amore ad Orsola”, in modo più immediato quando scrive per i bambini - e fa sì che quando successo, denaro, posizione sociale, eroismi, opere dell’ingegno e della tecnica e via dicendo, rischiano di distaccarsi dalla misura e dal buon gusto, STO, con una strizzata d’occhio un po’ bonaria e un po’ dispettosa, li rimetta a posto, in una misura più umana e quotidiana. 

Il Milione  (...ma non i milioni reali
                     origine di tanti mali:
                     noo! Milioni per finta!
                     Milioni di carta dipinta!...), 
questo “attrezzo da clown... così irreale da provocare un confronto con la realtà” (Antonio Faeti), “oggetto fatato mai messo in azione, che non diventa mai altro da sé, e che quindi non si consuma mai” (Edoardo Sanguineti), dando luogo così ad un eterno lieto fine - il milione, dunque, è uno dei suoi strumenti principali. Ma, con tutta la sua carica ironica, nasconde segreti insegnamenti espressi con molta discrezione. Non è detto, infatti, che il suo messaggio si fermi soltanto ad una spensierata e fantasiosa noncuranza per il lavoro e il guadagno. A dire il vero, anzi, Bonaventura, “che ridotto al lumicino – deve fare l’attacchino”, è sempre molto attento alla consistenza del suo gruzzolo e molto spesso indaffarato a cercare modi non solo per sbarcare il lunario, ma anche per far fruttare il capitale, come si puo’ vedere da una numerosa serie di avventure:

Qui comincia l’avventura / del signor Bonaventura,
…che padrone è diventato / di un garage ben avviato
…che ha un profondo dispiacere / nel trovar vuoto il forziere
…che alla banca ora riscuote / numerose banconote
…che alla banca a frutto pone / per prudenza il suo milione
…che dei suoi milioni stufo / fa il commercio del tartufo
…che s’è messo a far denari / commerciando libri rari
… e così via.

L’ironia sul denaro di quell’ “ossimoro vivente” che è Bonaventura, più che attraverso la surreale ingenuità imprenditoriale, opera in realtà seguendo percorsi più complessi e molto più attaccati alla concretezza della vita di quanto ci si aspetterebbe. E’ vero che Bonaventura cerca di intraprendere un’attività di garagista o di investire in banca i suoi milioni (in banca, non nelle nuvole), ma il risultato è sempre un malestro o un disastro di cui è vittima. Ed è alla vittima, trasformata grazie alla sua sventura in benefattore, che arriva il premio del Milione. Alle vittime e ai benefattori, dice cioè il messaggio, sarebbe giusto che spettasse un iperbolico premio in denaro sonante, una bella fetta della ricchezza che gira per il mondo. In un’intervista sulle origini e l’identità di Bonaventura, Giancarlo Fusco chiese a Sto: “Ma lei è proprio convinto che la bontà sia premiata, nella vita?” “Be’, questo è un altro paio di maniche. Lasciamola lì…” sorrise Sto in risposta. “Allora lei è uno scettico!” “No, insomma… rimaniamo in questa illusione!” 

Per spiegare come e perché questo Milione sia così reale (e allo stesso tempo “così irreale da provocare un confronto con la realtà”) ci voleva una lezione di un economista che di milioni se ne intende davvero”:

“Certamente questo milione è un valore mitico, un compenso mitico quasi frutto d’illusione. Però è forse anche qualcosa di diverso. Intanto vorrei notare che Bonaventura comincia all’inizio col ricevere medaglie ed encomi, poi il tutto si traduce in un milione. E il milione haun valore monetario vero e proprio, intanto perché Tofano aun certo punto sente la necessità di passare da un milione a un miliardo, poi perché questo milione diventa il dramma di tutti i lettori quando Bonaventura lo perde e in terzo luogo farei presente che nelle storie il Milione è a volte una mancia , ma a volte è una vera e propria cifra, che il Barone Partecipazio ambisce a sottrargli. E questa cifra di “un milione” è quello che una persona che percepiva un alto stipendio poteva conseguire in 40 anni di lavoro. E negli anni ’60, quando il potere d’acquisto divenne minore, Tofano passa al miliardo, che è una cifra dello stesso valore. Si puo’ dire dunque che, sia pur frutto d’illusione o di fantasia, il Milione è la quantificazione del mito di una vita. Cioè, Sto non gli dà il vello d’oro: gli dà Un Milione! “ (Piero Barucci) 

 Un premio sognato per una vita perbene, insomma, che pur se intessuta di bizzarrie fantasiose, era fatta di gentilezza, di rispetto, di intelligenza e di buon gusto. A queste qualità STO, Sergio Tofano, educava i bambini sotto il fascismo, con ironia, stile, eleganza ed una grande apertura alla cultura europea: “Bonaventura, che proviene da una dimensione non-sensicale più anglosassone che nostrana... porta ai bambini anche la finezza disegnativa e la visione del mondo dei Fliegende Blätter e della grande tradizione iconografica tedesca” (Antonio Faeti)

Per questo colui che è destinato ad essere sempre messo in berlina è l’eterno avversario di Bonaventura, Barbariccia - e cioè l’aggressore,  il contrario costituzionale di Bonaventura (e in questo senso va anche interpretato, nelle storie, il tema ricorrente del ladro sconfitto). L’Aggressione in tutte le sue forme, compresa quella che a Sergio Tofano, profondamente, ereditariamente, severamente moralista, dava più fastidio, malgrado, o proprio, per la sua professione pubblica: l’Esibizione.  “STO non si oppone solo alla letteratura lacrimatoria per l’infanzia... ma anche a quella che glorifica i forti... alla pedagogia dei prebalillini, degli arrampicatori sociali premiati, dei bravacci: questo mondo rovescia Tofano, qui è da raccogliere l’alterità di Tofano” (Antonio Faeti)

LA FORMULA BONAVENTURA
Il rigore dello stile di STO, si ritrova naturalmente nel modo di comporre le avventure di Bonaventura. Un’ analisi strutturale minuziosa di queste storie, condotta su alcune centinaia di tavole, mi ha permesso di verificare come, con poche varianti, esse siano tutte costruite su uno schema costante:

1.  la passeggiata
     o l’attività o il mestiere iniziale di Bonaventura
2. La sventura 
     che càpita a Bonaventura per cause naturali, animali o criminali
3. la ventura
     che il risultato dell’incidente porta a qualcuno
4. il premio 
     con il milione
(la breve serie di storie “negative” in cui perde il milione 
sono l’eccezione che conferma la regola e rinforza la norma)

Ognuna di queste fasi ha la sua individualità narrativa e il mestiere di STO si riconosce nella potenzialità di sviluppo che ognuno di questi nuclei ha in sé. Ma comunque li si sviluppi essi riconducono sempre allo stesso lieto fine. Un esempio:

1. Bonaventura passeggia 2. Un forte vento lo scaraventa contro un attacchino e si inzuppa così tutto di colla. Lo stesso vento strappa alla borsa di un banchiere un pacco di 100 biglietti da 10 lire  3. che svolazzando arrivano a incollarsi tutti su Bonaventura. 4. Il banchiere premia il recupero delle 1000 lire con un milione.

La sproporzione ironica, in questa come in tutte le altre storie, tra beneficio procurato e premio ricevuto da Bonaventura benefattore involontario, smitizzando col milione iperbolico il denaro tout court, porta a galla gratificazioni meno relative: la sicurezza dell’onestà premiata, la speranza che tutto finisca sempre bene. Non bisogna dimenticare, come rammenta Oreste Del Buono, che “Bonaventura è nato per insegnare a ridere delle proprie sventure in un momento tetro per il paese, subito dopo Caporetto“, e aggiunge: “ Che tutto dipenda  , oltre che dalla ilare e leggera fantasia e dalla squisita eleganza grafica e cromatica di questi più balletti che raccontini, dal milione tanto assurdamente e facilmente guadagnato da Bonaventura alla fine di ogni sua avventura, cominciata sempre con una sventura?”

GLI STRUMENTI DI BONAVENTURA
Ma non c’è dubbio che una delle ragioni principali del successo di Bonaventura, nel Corriere dei Piccoli e sulle scene, stia nel fatto che a questa gratificazione finale si è condotti, si, con rigorosa costruzione - ma anche con la scatenata voglia di divertire ed il ritmo incalzante di questi suoi “balletti”. Ed a realizzare questa dinamicità drammatica contribuiscono non poco i versetti, “il rimario pirotecnico di STO”, come lo definiva Silvio d’Amico. Quei versetti che, come ha scritto un critico inglese, si potrebbero collocare “tra Gilbert & Sullivan e Lewis Carroll”. “Queste bambocciate linguistiche giocate in caricatura, speculando sopra linguaggi precostituiti... sono uno degli elementi fondamentali del tofanese... e spiegano perché sia piaciuto enormemente, e piaccia enormemente, ai bambini, proprio per questo aspetto elementare di gioco con la caricatura verbale: è la rima che guida il gioco, è il materiale linguistico che fa la storia, sono i clichés che fabbricano la vicenda e che creano le immagini” (Edoardo Sanguineti).

L’educazione linguistica operata da STO su diverse generazioni è stata considerevole. Ma questi versetti, estremamente colti eppure semplicissimi e chiarissimi, colpiscono a più livelli. Non solo arricchiscono la lingua e suscitano un gioco d’echi e connotazioni culturali - ma provocano anche  un effetto di puro dinamismo ritmico che scandisce, incalza, rafforza l’immagine. E non si parla solo degli ottonari scritti per le tavole, ma anche dell’infinita varietà di metriche e ritmi verbali delle commedie, sui quali Bonaventura e i suoi compagni giocano  con somma disinvoltura, e ai quali è d’obbligo rifarsi (e senza i quali non esiste Bonaventura).

Un discorso parallelo va fatto per la musica. Le commedie di Bonaventura sono  commedie musicali, le sventure, i lazzi, gli inseguimenti, le acrobazie e le capriole, le filastrocche, i festosi cori finali, le cattiverie di Barbariccia, le svenevolezze del bellissimo Cecè, la prosopopea di Re e Regine, le collere e le malinconie degli Orchi addomesticati - tutto era costruito ( come nelle commedie dell’arte, come in Molière, come in Metastasio ...) su uno strepitoso senso dei tempi che nasceva dal ritmo musicale non meno che da quello verbale e da quello visuale, intrecciati nell’unità indivisibile del Teatro. E del resto la stessa grafica di STO ha una sua evidentissima musicalità di linee. Il corpus di “musiche di Bonaventura” è notevole, composto, per le varie commedie, da Ermete Liberati, Carlo Franco, Nino Rota, Fiorenzo Carpi, Roman Vlad. Ad essi si è aggiunto, dal 1980, Aldo Tarabella, che ha anche recuperato, riordinato e revisionato l’intero corpus musicale delle sei  commedie.

Per concludere il discorso sugli strumenti espressivi di STO, va sottolineata la vastità della produzione figurativa di STO, a disposizione per ricreare, con fedeltà al canone Bonaventura, i personaggi e gli ambienti delle sue storie. Per la realizzazione in corso dei cartoni animati digitali 3D (1999-2000) è stato costituito su un campione di 300 tavole un catalogo per categorie che indica, tavola per tavola, trame, personaggi, costumi, ambienti e oggetti. Aggiungo che, personalmente, ho usato in alcune messe in scena delle commedie, per i costumi delle Contesse e Baronesse compagne del bellissimo Cecè, gli abiti di Rosetta (non a caso venivano chiamati “la coppia più elegante d’italia)   tratti dalle bellissime foto che di lei ha scattato STO rivelandosi con questo un fotografo non meno elegante del disegnatore. Anche di questi materiali si sta raccogliendo una vasta scelta sul sito di STO.

I  SUCCESSI DI BONAVENTURA
Le commedie di Bonaventura hanno sempre, per i bambini e per il pubblico adulto, una grande, e sorprendente, attrattiva.  Oggi, in epoca di televisione, internet e videogiochi, di fronte alle più disparate platee di nonni, genitori e bambini, o di irrequieti scolari, si è visto sempre ripetersi, all’estero e in Italia, l’attonito incanto e il delirante entusiasmo che suscita questa “ultima maschera della Commedia dell’Arte”.

Ho constatato in prima persona il successo magico della formula STO, in occasione delle messe-in-scena da me realizzate (basate su ricordi personali, su ricordi professionali legati alle messe-in-scena di STO con le quali ha collaborato e su una ricca documentazione) con l’obbiettivo di realizzare delle edizioni il più possibile fedeli all’ incanto creato dall’umorismo e dall’intelligenza di Sergio Tofano, mio padre. Edizioni filologiche, si potrebbero chiamare, se teniamo ben presente che, trattandosi di Bonaventura, filologiche vuol dire divertentissime, coloratissime, musicalissime, movimentatissime - e adatte a un larghissimo pubblico.

Non sono stato il solo a constatarlo. Oltre alle moltissime rappresentazioni scolastiche e filodrammatiche che si ripetono annualmente, dalla scomparsa di Sergio Tofano (1973) hanno rappresentato commedie del Teatro di Bonaventura il TEATRO DI GENOVA (L’Isola dei Pappagalli, regìa di G.Fenzi), il TEATRO STABILE DI TORINO (Una losca congiura e L’Isola dei pappagalli, regìa di F.Passatore), il TEATRO REGIONALE TOSCANO (Qui comincia la sventura, regìa di G.Tofano), il TEATRO DELLA TOSSE (La Regina in berlina, regìa di T. Conte), il TEATRO DI ROMA (Qui comincia la sventura, regìa di G.Zampieri), tutti con grandissimo successo. L’edizione del Teatro di Roma è stata ripresa per tre stagioni in lunghe tournées, e lunghe programmazioni hanno avuto anche gli altri Teatri.

Un accoglienza sorprendentemente simile si è verificata anche all’estero. Le Commedie di Bonaventura sono sempre state considerate intraducibili, per il loro rimario pirotecnico (la definizione è di Silvio d’Amico) e per il fuoco di fila di giochi di parole. Ma a me è capitato di partecipare ad una impresa impossibile: la prima traduzione in assoluto in una lingua straniera - e la più imprevedibile, l’ebraico - di una commedia di Bonaventura, Qui comincia la sventura, per la  messa in scena da me realizzata per il TEATRO MUNICIPALE DI HAIFA, di cui ero direttore artistico. Anche qui si è ripetuto lo stesso entusiastico successo, che ha coinvolto tutto il pubblico israeliano (notoriamente di grande cultura teatrale) nella scoperta di Bonaventura, e non solo i molti ebrei italiani accorsi in massa e con le lacrime agli occhi per la nostalgia. In quell’occasione mi arrivò tra le mani una piccola fotografia di una Regina in berlina realizzata a due passi dalla tragedia, nella primavera 1943, dalla Scuola Ebraica di Ferrara e messa in scena da un giovane insegnante di nome Giorgio Bassani. Accanto ad ognuno di quei bambini sorridenti in costume – Bonaventura, Cecé, Cenerentola, il Re, il Bassotto – si poteva scrivere il loro destino : Auschwitz, Buchenwald, Birkenau… 

Analogo entusiasmo, con pressanti richieste di traduzione, è stato riscontrato da Gino Zampieri, quando ha portato a Berlino la propria edizione di Qui comincia la sventura, prodotta dal Teatro di Roma. 

Accanto a tutte queste ripetute riprese delle commedie di Bonaventura, va ricordato infine anche il successo della Mostra “STO, una storia lunga un milione”  e della trasmissione RAI-Radio 2 in 13 puntate e dallo stesso titolo.
La Mostra, ordinata e allestita  nel 1979 da Gilberto Tofano al Palazzo delle Esposizioni di Roma, per iniziativa dell’allora assessore alla cultura Renato Nicolini, fu poi rilevata, ampliata e conservata  dal Civico Museo Biblioteca dell’Attore di Genova che, in collaborazione con quei Comuni, l’ha presentata a Genova, Milano, Torino e Firenze.
A Firenze in occasione della Mostra, nel 1980, sono state realizzate per iniziativa del Gabinetto Viesseux, una rassegna di film interpretati da Sergio Tofano e tre tavole rotonde - STO disegnatore, Il Linguaggio di STO, e Sergio Tofano attore e maestro – con la partecipazione di Lele Luzzati, Antonio Faeti, Tullio De Mauro, Edoardo Sanguineti, Alessandro d’Amico, Paolo Emilio Poesio, Renzo Tian e molti altri personaggi della cultura. In quella stessa occasione è stata prodotta dal Teatro Regionale Toscano la commedia Qui comincia la sventura per la regìa di Gilberto Tofano. 
La Mostra comprende i materiali ora raccolti nel Fondo Tofano del Museo Biblioteca dell’Attore: fotografie, disegni, schizzi, illustrazioni, manifesti, libri, documenti, costumi, gigantografie, cassette video di spettacoli TV e film interpretati da Sergio Tofano. 
A questi materiali prevalentemente visuali si sono poi aggiunti i materiali sonori della trasmissione omonima realizzata da Gilberto Tofano nel 1982 per  Radio2 RAI, con una abbondante raccolta di interviste a STO e ad attori, registi, critici, pedagoghi, letterati, critici d’arte e perfino economisti (sul milione di Bonaventura), e brani di spettacoli radio e l’intero corpus delle commedie – e delle canzoni delle commedie – di Bonaventura, registrato per l’occasione. 
Tutto l’insieme multimediale di questi materiali si va ora raccogliendo nel sito dedicato a STO, www.sto-signorbonaventura,it ,  dove prestissimo appariranno anche I “trailer” della nuova impresa di Bonaventura: il primo cartone italiano in animazione digitale 3D, BONAVENTURA E IL CANOTTO, numero 1 di una prossima serie televisiva.

CONCLUSIONE
Bonaventura, dunque, è sempre pronto ad affrontare nuove imprese – se ci si ricorda che non si tratta di un personaggio di concezione elementare, che ognuno puo’ sentire a suo modo, definire attraverso un’impressione istintiva, accomodare ad altri territori e modificare a piacere. Ogni presunta proponibilità di Bonaventura basata su modifiche del suo complesso codice genetico, sarà di corto respiro e in definitiva controproducente: il mite Bonaventura si ribellerà.

Perché, ripeto, la molteplicità di aspetti, espressi con la massima semplicità e leggibilità, che si riscontra in Bonaventura, rivela una costruzione abilissima condotta con grande stile, il cui risultato è una macchina perfetta e sempre pronta a funzionare. Sarebbe ingenuità o presunzione volerla smontare in nome di una velleitaria “attualità”. Imparare a riconoscere i meccanismi propri dell’arte di STO, utilizzarli e metterli in funzione, quelli, e solo quelli, e non altri - questa è l’unica garanzia perché la modernità di Bonaventura resti intatta e quel successo si riproduca anche oggi e attraverso tutti i media disponibili.

E questo non si puo’ senza studiare e far propri il retroterra e il metodo di Sergio Tofano. Solo avendo alle spalle tutto questo si puo’ sperare di ottenere la fiducia di Bonaventura e quindi la libertà di inventare e divertirsi assieme a lui. Solo per questa via Bonaventura resterà sempre disponibile, attualissimo e ad altisimo livello di proponibilità.

FINALINO
Molte altre dotte osservazioni sono state scritte dagli esegeti di Bonaventura ed andrebbero citate. Mi limito a trascriverne una , che contemporaneamente chiude e riapre, in tofanese, il discorso sui mille mestieri e le mille facce di questo personaggio:

“Bonaventura è un ossimoro vivente. E’ cioè un personaggio fatto di due contrari: da un lato presentissimo, dall’altro assentissimo, da un lato ilare e beato, dall’altro tristissimo e melanconico (Antonio Faeti)

Richiesto di un’opinione, che direbbe a questo punto STO?  Non ho dubbi che, in tofanese, risponderebbe:

Le zanzare a Zanzibar 
   vanno a zonzo pei bazar...